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Cattive abitudini: come riconoscerle e come affrontarle

cattive abitudini

Nella vita quotidiana, molti comportamenti diventano abitudini. Alcune facilitano la vita: parcheggiare la macchina sempre nello stesso posto ci aiuta a non doverla cercare ogni volta. Ci sono poi, invece, le cattive abitudini che sono disfunzionali per il nostro benessere possono provocare reazioni dannose.

Cosa sono le abitudini?

Un’abitudine, come ha scritto B.R. Andrews sul The American Journal of Psychology nel 1903, “è un modo più o meno fisso di pensare attraverso la ripetizione di una precedente esperienza mentale”. C’è da dire che, l’abitudine, sia in campo personale sia in campo sociale, è un ciclo legato al nostro subconscio, a quella leggerezza di agire senza pensare.

Questi cicli di subconscio, come nota Charles Duhigg nel suo bestseller The Power of Habit, seguono più o meno lo stesso schema: dei trigger o “compiti” vengono impostati dal cervello con un pilota automatico, parte una “routine” nell’eseguirli e si chiudono con la ricompensa che otteniamo nell’averli eseguiti, per poi ripetersi.

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Le cattive abitudini in pratica

Una delle cattive abitudini più fastidiose che avevo sul lavoro, era quella di tenere accese le notifiche email e lavorare con la casella di posta elettronica aperta: in questo modo la testa “riteneva” importante ogni email che ricevevo, e di conseguenza rispondevo. Grande spreco di tempo, focus ed energia.

Prima di rimettermi al lavoro, facevo un controllo sui social, perché magari mi stavo perdendo qualche conversazione, o tag, per poi rispondere alla notifica su WhatsApp. Il tutto condito da un enorme puzzle di attività senza una priorità, come se all’interno di un centro abitato non ci fosse nemmeno un semaforo che regolamentasse il giusto flusso.

Quindi, il mio ciclo subconscio era così definito:

  • Spunto: sto lavorando a un task;
  • Routine: controllo i miei status dei social network;
  • Ricompensa: ricevo soddisfazione nel sentirmi (falsamente) produttivo controllando una serie di ambienti digitali.
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Tutto questo genera il problema: non avere in mente il giusto ordine di priorità, unito alle cattive abitudini che avevo interiorizzato.

Nel corso del tempo, Duhigg scrive, “questo ciclo, trigger, routine, ricompensa – diventa sempre più automatico, dove lo spunto e la ricompensa si intrecciano fino a un forte senso di anticipazione e desiderio, ed ecco così che nasce l’abitudine”.

Nonostante le migliori intenzioni a inizio giornata, o i migliori metodi di gestione del tempo, non riusciamo a “spezzare” il ciclo sopraindicato, perché la dopamina, che controlla i sistemi di “piacere” del cervello, non riesce a ignorare le notifiche che nutrono in noi sensazioni di piacere e soddisfacimento dei bisogni non colmati.

Come uscire dalle cattive abitudini?

Il primo passo per rompere le cattive abitudini è la consapevolezza.

Quando siamo consapevoli abbiamo già risolto buona parte del problema. Più consapevoli saremo del nostro ciclo del subconscio, spunti-routine-ricompense, meno potere avranno le nostre abitudini su di noi.

Nel mio comportamento malsano sopra descritto, mi sono fermato ed è affiorato un quadro sul mio modo di lavorare non più sostenibile, perché esso conteneva una grande dose di dopamina, e una bella spolverata di sindrome da FOMO, in altre parole la paura di perdermi qualche notizia o status.

Alla fine, il vero perdente ero io: mi stavo autoingannando, pensando di essere sul “pezzo” e produttivo.

La più grande verità che piano piano stava affiorando era: non è vero che fare un sacco di cose vuol dire che stai facendo qualcosa di importante e di conseguenza sei più produttivo.

Per cambiare l’abitudine, sostiene lo stesso Duhigg, “se si utilizzano lo stesso spunto e la stessa ricompensa è possibile: basta cambiare la routine

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Ora, quando completeremo il nostro compito e prima di chiederci quale sarà il prossimo task, importante sarà lavorare in un ambiente “sanato”dalle distrazioni digitali e quindi non accedere ai profili social, bensì fare una pausa o una chiacchiera con un amico, bere un caffè.

La ricompensa sarà la stessa: la sensazione di sentirsi produttivi. Il notevole beneficio che
se ne trarrà non è solo sulla cattiva abitudine, ma si riverserà in altre parti della nostra vita privata e lavorativa. Tutto inizia dalla consapevolezza: sta a noi avere la responsabilità di cambiare la nostra vita, dedicandoci il tempo, ma soprattutto l’attenzione del “volerci bene”.

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