Benessere in azienda: perché la Generazione Z rivoluzionerà il nostro modo di lavorare

Se è vero che i Millenials hanno accettato passivamente (o quasi) il mondo del lavoro così come gli era stato lasciato dalla generazione dei boomer, certo non si può dire lo stesso della Generazione Z. I giovani di oggi sono più combattivi, coinvolti e desiderosi di creare un futuro che si adatti alle loro esigenze, anche se questo vuol dire sfidare lo status quo.

Le pause sono momenti creativi

La psicologia sostiene che “le idee geniali nascono nei momenti di pausa”.
La mente divaga, il pensiero volge alla spontaneità e prende vita una forma di creatività slegata da consegne ed incarichi professionali.
Basterebbero, quindi, cinque minuti di una tazzina bollente tra le dita per una piena ricarica di energia creativa, magari trascorsi in compagnia, aprendosi a condivisione ed ascolto. Ancor meglio se vissuti escludendo i dispositivi digitali.

Insomma, meno stories del nostro Starbucks con nome e più chiacchiere col compagno di caffeina.
In una realtà che inneggia ai curriculum “ottime capacità di lavoro sotto pressione”, la retorica della proficua pausa relax appare un’utopia.
Ma le nuove leve nel mondo del lavoro sembrano muovere verso una rivoluzione…

La nuova Generazione Z

Secondo l’American Psychological Association, la Generazione Z (i nati tra il 1997 ed il 2012) pone come propria priorità assoluta, al di sopra di stabilità economica e lavorativa, la salute mentale. Sotto questa prospettiva l’assetto professionale che conosciamo potrebbe mutare per accogliere l’inserimento della Generazione Z nel mondo del lavoro.

Segnati dalla transizione digitale, i lavoratori dell’oggi e del domani non hanno mai conosciuto un mondo senza Internet, ne ignorano l’assetto. È forse proprio questo il filo rosso che potrebbe condurre ad un moto di cambiamento.
Se è vero che la chiave del successo è l’equilibrio, bisognerà imparare a camminare con il peso in più di questo nostro “prolungamento della mano”.

Meglio disoccupati che infelici

Concetto base delle esigenze della Generazione Z è “meglio disoccupati che infelici”. L’ideologia del lavoro come “sacrificio da onorare” e del “tutti gli sforzi verranno ripagati” perde forza. Il paradigma muove verso una vita privata e professionale attenta alla sostenibilità emotiva. E se un tempo anche il più introverso dell’ufficio si trovava immerso senza scampo in quattro chiacchiere da bar tra colleghi, il nuovo lavoratore, incastrato tra smart-working e scrolling vani, rischia di perdere questa preziosa dimensione conviviale (oltre che di bere il caffè sempre freddo).

Il portale LinkedIn ha recentemente trattato l’ipotesi di una “Rivoluzione del Lavoro” implementata dalle nuove generazioni. Si ipotizza un ambiente professionale più amichevole, con un aumento dei momenti conviviali di persona che sospendano temporaneamente ai partecipanti l’utilizzo dei dispositivi tecnologici.

Ripensare le gerarchie

Altro aspetto da ridefinire sarebbe il rapporto dirigenti-lavoratori. La Generazione Z ha molta cura del proprio senso di realizzazione, concetto incompatibile con una relazione di cieca subordinazione; c’è il desiderio di nuove misure mirate ad accreditare l’operato dei collaboratori, accrescendo in loro gratificazione ed autostima.

È forse proprio l’istantaneità, attributo cardine della logica social, che sta plasmando una generazione che non ha paura di “buttarsi” e di rischiare nell’immediatezza. Sta cadendo il secolare idolo del posto fisso, che perde la sua sacralità in favore di un più sentito bisogno di serenità ed appagamento morale.

Le aziende potrebbero trovarsi a fronteggiare una costante trattativa di condizioni per rinnovare giornalmente la fiducia dei lavoratori, che perdono scontatezza agli occhi dei dirigenti.
I requisiti principali ricercati dalla Generazione Z in ambito professionale sono l’equilibrio tra vita privata e lavorativa ed una reale tutela della socialità. Per i figli di Internet è chiaro come sia imprescindibile mantenere vivo un contatto interpersonale diretto, sorvolato incessantemente dalla minaccia nata col digitale.

Co-creare il futuro

Sono quindi tanti i presupposti in campo per un nuovo ordine professionale. Ci sono mezzi concreti per incontrare queste dinamiche che potrebbero presto estendersi a tutte le realtà lavorative. Ad esempio, l’obbligatorietà di utilizzo di strumenti digitali a uso esclusivamente professionale, per porre un confine definito tra il dispositivo del binge-watching su Netflix e quello delle call aziendali. Una formazione per un miglioramento generale del rapporto uomo-digitale, estesa anche all’uso privato extra-professionale della tecnologia. La possibilità di orientare il mondo del lavoro verso una dimensione sensibile alle problematiche psicologiche dei dipendenti, che possa fornire supporto e tutela in materia di benessere mentale.

Infine, l’incremento dei momenti di socialità in azienda, anche e soprattutto per i lavoratori “da remoto”, consentendo a tutti di essere un volto, e non un’icona quadrata con le proprie iniziali al centro.
Il tutto, magari, accompagnato da una buona tazza di caffè.

Articolo di Sara Garlaschelli

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