Wellbeing aziendale: tutto quello che ti serve sapere

Il mondo del lavoro si evolve in fretta, e il management spesso fatica a stare al passo, creando una distanza sempre più incolmabile fra le necessità dell'azienda e quelle dei singoli lavoratori. Ma su quali aspetti occorre intervenire per conciliare tutte le voci in causa e muoversi insieme in direzione del nuovo wellbeing aziendale?

Cosa ci dicono i dati

I dati parlano chiaro: secondo uno studio McKinsey, il 40% dei lavoratori nel mondo vorrebbe cambiare lavoro nei prossimi mesi. In Italia, secondo l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, il tasso di turnover è aumentato del 73% nelle aziende italiane nell'ultimo anno e 1 lavoratore su 2 ha cambiato lavoro o intende farlo; solo 1 su 10 si trova bene nel posto di lavoro attuale.

Parallelamente, il livello di coinvolgimento dei lavoratori scende: dal 2021 al 2022 si passa dal 20% al 14% dei lavoratori che si sentono partecipi e attori attivi all'interno della loro azienda.

Di recente, la CNBC e la società globale per la parità di genere Catalyst hanno pubblicato un rapporto intitolato "The Great Work/Life Divide: Come il desiderio di flessibilità dei dipendenti e le preoccupazioni dei datori di lavoro stanno determinando il futuro del lavoro". Condotta da Harris Poll, l'indagine su 903 lavoratori rileva che la metà degli americani che lavorano vuole cambiare carriera.

"Più della metà dei dipendenti vuole lasciare [il proprio lavoro] e le ragioni emerse dal sondaggio sono in realtà due", spiega Lorraine Hariton, presidente e amministratore delegato di Catalyst, a Julia Boorstin della CNBC.

"Uno è la sensazione che i datori di lavoro non li capiscano, che non siano empatici. Questo vale soprattutto per i genitori che lavorano, uomini o donne. Non si sentono bene in questa esperienza e vogliono andarsene. Il secondo aspetto è che le persone sono davvero orientate alla flessibilità, sia che si tratti di flessibilità di sede, di orario o di modalità di lavoro. Vogliono andarsene se il datore di lavoro non offre questa possibilità".

Circa il 41% degli intervistati dichiara di aver pensato di lasciare il proprio lavoro perché l'azienda non è andata loro incontro durante la pandemia e ben il 76% vorrebbe che la propria azienda rendesse il lavoro permanentemente flessibile in termini di orario e/o sede.

Quali sono gli aspetti che influiscono di più su questi cambiamenti?

Secondo MIDA, factory di consulenza indipendente per la people transformation, questi fenomeni causati da bisogni e aspettative non soddisfatti sono riconducibili a due aspetti:

  • La risposta emotiva: il periodo che stiamo vivendo non è certamente facile, e quando veniamo assaliti da emozioni fortemente negative, la nostra mente e la nostra concentrazione tendono inevitabilmente a fissarsi su queste ultime, dimenticando tutto il resto. E quando questo succede, le decisioni che vengono prese sono tutt'altro che razionali. Se parliamo di lavoro, in pratica, ci diciamo: "sto così male in una certa situazione che l’unica cosa che ho in mente è andarmene".
  • L'evoluzione di bisogni e aspettative: come già accennato, tutto il mondo del lavoro è stato scosso fino alle fondamenta dall'arrivo della pandemia, e molti aspetti che erano dati per scontati sono stati rimessi in discussione. Valori ed esigenze sono stati rimescolati e le aziende faticano, troppo spesso, a comprenderlo. MIDA parla di una "crisi nel contratto psicologico", che di fatto parla di wellbeing aziendale e comprende "il sistema di reciproche aspettative tra collaboratore e azienda, che mette a rischio l’engagement dei collaboratori e la loro performance. C’è infatti una forte correlazione tra contratto psicologico, engagement e produttività".

Parlare di Wellbeing aziendale

A dispetto di quanto suggeriscono le aziende, i motivi per cui spesso i lavoratori decidono di cambiare lavoro non è riconducibile al fattore "stipendio". La retribuzione è solo la cima dell'iceberg: da sola non può costituire la causa scatenante del preoccupante fenomeno meglio noto come "le grandi dimissioni", ovvero l'inedita ondata di dimissioni a livello mondiale che verificatasi nel post-pandemia. La paga e lo scarso equilibrio fra vita privata e lavorativa sicuramente influenzano l'engagement e il benessere dei dipendenti, tuttavia non hanno il peso che le organizzazioni fanno credere.

Molto più importante è, infatti, prendersi davvero cura dei propri lavoratori, promuovendo il wellbeing aziendale e ricostruendo il contratto psicologico tra azienda ed individuo. Occorre identificare i fattori che maggiormente contribuiscono a creare un sentimento di malessere nei lavoratori, per eliminarli dall'equazione e ricostruire il sistema valoriale di un'azienda secondo presupposti nuovi.

Spesso, un collaboratore che vive in maniera negativa la relazione con il proprio posto di lavoro non si sente apprezzato dai propri manager, non vive il senso di appartenenza al lavoro, si occupa di mansioni poco flessibili o monotone o, ancora, non ha stabilito buone e solide relazioni sociali con i propri colleghi e con i propri superiori. Anche il disallineamento fra la propria identità valoriale e la cultura dell'azienda dà origine a conflitti interiori che generano stress e malessere negli individui.

Contrastare tutti questi fenomeni applicando i principi del wellbeing aziendale dovrebbe essere fra le priorità di un'azienda che vuole continuare ad essere attraente agli occhi della forza lavoro e che intende rimanere competitiva sul lungo termine.

Cosa possono fare le aziende per andare incontro ai bisogni dei propri lavoratori?

Il primo obiettivo dovrebbe riguardare l'eliminazione delle cause del malessere. Occorre interessarsi genuinamente delle persone che lavorano in un'azienda, riconoscendo l'individualità di ciascuno e agendo di conseguenza, progettando soluzioni il più possibile personalizzate.

Questo può essere fatto attraverso un ascolto attivo ed attento, capace di guardare in prospettiva ai problemi e di agire secondo modelli empatici. Saper vestire i panni dei propri collaboratori, per vedere e per sentire quello che loro vedono e sentono, è importante per acquisire un atteggiamento non giudicante nei loro confronti.

E questo processo, naturalmente, dovrebbe coinvolgere tutte le figure aziendali, dai leader e i manager ai semplici collaboratori.

Riconoscere l'individualità delle persone è importante anche per dar loro la possibilità di crescere e di sviluppare al massimo il loro potenziale. Questa visione dei rapporti interpersonali nella sfera lavorativa, secondo MIDA, "implica un approccio sistemico, basato sulla consapevolezza che il benessere e la realizzazione delle persone sono l’esito di un’esperienza complessa che vede interconnessi tre diversi livelli: organizzativo, manageriale e individuale".

Quali sono i livelli di intervento su cui occorre focalizzarsi?

Sempre secondo MIDA, i punti su cui occorre ricostruire il rapporto lavoratore-azienda secondo i dettami del wellbeing aziendale sono fondamentalmente tre:

  • Organizzativo: un'organizzazione deve cercare di capire i bisogni dei propri lavoratori al fine di favorire il benessere fisico, psicologico e sociale di questi ultimi. Mettere l'individuo al centro della propria filosofia significa sfruttare i loro vantaggi personali a vantaggio dell'azienda stessa, così da generare un circolo virtuoso che coivolge tutti i livelli della cultura aziendale.
  • Manageriale: ripensare i modelli di leadership è fondamentale ed imprescindibile per un cambio di paradigma nel mondo lavorativo. Occorre uno stile di management che mette gli individui in condizione di poter esprimere il proprio potenziale e di lavorare in maniera produttiva e gratificante.
  • Individuale: ulteriore responsabilità di un'azienda dovrebbe essere aiutare le persone a sviluppare e nutrire gli aspetti della loro personalità e i loro talenti per garantire la piena espressione del proprio potenziale. Questo garantirà un maggior equilibrio psicofisico e, di conseguenza, un maggiore benessere e una maggiore produttività. Se un individuo si sente parte attiva della realtà in cui lavora, sarà in grado di sviluppare un senso di coinvolgimento maggiore e questo, a cascata, garantirà una performance migliore.

Sfruttare il proprio potenziale e imparare il giusto stile di leadership

Conoscere davvero le proprie potenzialità ed imparare a sfruttarle è una qualità sempre più importante per vivere meglio e, di conseguenza, per lavorare meglio. E questo vale sia a livello organizzativo che a livello individuale. Un'azienda o un manager che conoscono i punti di forza della loro realtà possono raggiungere grandi risultati e, contemporaneamente, favorire una giusta cultura improntata sul wellbeing aziendale.

Ecco come nasce il nuovo progetto di Alessio Carciofi e di Erica d'Angelo (Horse Assisted Coach) per imparare a conoscere sé stessi in profondità e per migliorare il proprio stile di leadership. Un modo per mettersi in gioco e per sviluppare le proprie abilità personali e relazionali. Perché un management che funziona è fondamentale per un'organizzazione che funziona. Un'occasione unica in una location straordinaria.

Dai un'occhiata al progetto

Articolo tratto da CNBC e MIDA, liberamente tradotto e rielaborato.

Photo by pch.vector on freepik

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