Cos'è la solitudine professionale e come possiamo contrastarla

solitudine professionale

Il benessere delle persone all'interno dell'ambiente lavorativo è un tema sempre più importante per le organizzazioni che desiderano creare un ambiente di lavoro sano, inclusivo e produttivo. Uno dei fattori che può influenzare negativamente il benessere delle persone è la sensazione di solitudine professionale.

Quando le persone si sentono sole sul lavoro, possono manifestare sintomi come ansia, depressione, burnout o perdita di motivazione. Di seguito viene riportato quanto segnalato dall'Osservatorio BIP Factory nel suo ultimo report sul tema della solitudine.

Il panorama lavorativo e sociale è cambiato

Non è solo il lavoro a essere cambiato, ma anche le persone che vi lavorano. Esse sentono il bisogno di riprendere il controllo del proprio tempo e della propria vita.

Lo stress e l'ansia generalizzata sono spesso una reazione al modello di superlavoro richiesto dalle aziende: la dedizione totale, tradotta in straordinari costanti e disponibilità illimitata, insieme allo stress da affaticamento lavorativo, spingono le persone a ribellarsi a questo modello, cercando di rispettare la qualità della vita e il proprio scopo personale. Questo nuovo stile di vita coinvolge principalmente i giovani sotto i 25 anni e le persone tra i 26 e i 41 anni. Questo gruppo di persone è comunemente chiamato "Generazione YOLO" (You Only Live Once), ovvero "si vive una volta sola".

La solitudine professionale può avere diversi impatti all'interno delle organizzazioni, tra cui una diminuzione della produttività, un aumento del turnover, una bassa soddisfazione dei dipendenti, una mancanza di innovazione, rischio di provare sentimenti di solitudine professionale e una scarsa reputazione dell'organizzazione. Le aziende dovrebbero prendere seriamente in considerazione questo fenomeno e impegnarsi per creare un ambiente di lavoro stimolante, accogliente e socialmente coinvolgente.

Viviamo in una società liquida

Nel 2000, il sociologo Zygmunt Bauman ha coniato il concetto di "società liquida", affermando che nella società contemporanea si sta verificando un processo irreversibile di dissoluzione di ciò che sembrava solido, naturale e indistruttibile. Questo processo continua ancora oggi e coinvolge anche la struttura del lavoro. È forse giunto il momento di mettere seriamente in discussione il vivere per lavorare o lavorare per vivere al fine di restituire una nuova dignità al lavoro?

Nell'attuale contesto lavorativo, il concetto di lavoro può essere paragonato a un abito. Esso non rappresenta solo un elemento dell'identità di chi lo indossa, ma contribuisce anche a proiettare un'immagine di sé, riflettendo la personalità, le inclinazioni, gli interessi e gli obiettivi. Allo stesso modo in cui si ripara un vestito danneggiato o si mette da parte un abito che non ci piace più o non ci sta bene, possiamo immaginare una relazione simile tra le persone e il mondo del lavoro. Oggi, sempre più persone cercano di scegliere professioni che rispecchiano la loro autenticità, senza dover fare compromessi e senza dover intraprendere una carriera in un ambiente che non rispecchia i loro valori e scopi.

Secondo l'Osservatorio HR Innovation Practice, sta emergendo anche una fase di "pentimento": il cosiddetto "Great Regret", ovvero il desiderio di tornare indietro dopo aver preso la decisione di cambiare lavoro. Attualmente, questo fenomeno colpisce il 41% delle persone. Questo dato mette in evidenza un crescente senso di smarrimento, in cui le persone si trovano a dover agire d'istinto a causa di ambienti e contesti lavorativi considerati poco sostenibili.

In conclusione, è necessario riflettere su questa dinamica e porre delle domande fondamentali: Come possiamo vivere il lavoro in modo consapevole anziché passivo? Come possiamo costruire un'identità lavorativa autentica che rispecchi le nostre aspirazioni? Come possiamo creare ambienti di lavoro sostenibili che promuovano il benessere e soddisfazione delle persone e contrastino la solitudine professionale? È importante affrontare queste questioni per costruire un mondo del lavoro più umano, equilibrato e gratificante.

Tipologie diverse di lavoratori

Nel contesto lavorativo, possiamo osservare due tipologie di persone: coloro che decidono di lasciare il lavoro in modo silenzioso e coloro che, pur non essendo soddisfatti, si limitano a fornire un contributo sufficiente per evitare fratture sul luogo di lavoro. Questa dinamica è conosciuta come "Quiet Quitting" ed è praticata da oltre 2 milioni di professionisti in Italia. Dall'altra parte, c'è anche chi non riesce a staccarsi dal lavoro, sacrificando gran parte della propria vita privata. Questo profilo è conosciuto come "Job Creeper" e coinvolge oltre un milione di persone attive sul mercato.

In questo complesso panorama di aspetti e sfaccettature del rapporto tra le persone e il proprio lavoro, le organizzazioni devono essere pronte a fornire una risposta adeguata. Utilizzando ancora la metafora dell'abito, le aziende sono chiamate oggi a creare soluzioni personalizzate per soddisfare i nuovi bisogni dei propri talenti, sia quelli attuali che potenziali. Questa sfida rappresenta una risposta attiva alle criticità che emergono nel mantenimento e nell'attrazione dei talenti.

Quando c'è un mismatch tra le esigenze delle persone e le soluzioni adottate dalle organizzazioni, aumenta il rischio di interruzioni dell'attività e di diminuzione della produttività, oltre che di sviluppo di sentimenti legati alla solitudine professionale. Inoltre, si verifica un aumento del turnover che, a sua volta, provoca un deterioramento dei rapporti umani all'interno delle organizzazioni.

Al momento, le reazioni delle organizzazioni sembrano promettenti: temi come l'inclusione e l'equità sono stati affrontati dai CEO con una frequenza del 658% dal 2018. Tuttavia, attualmente solo il 40% delle persone ha accesso a strumenti di benessere psicologico, fisico e finanziario. Questo dato lascia alle organizzazioni uno spazio di azione, spingendole ad abbandonare approcci superficiali su tematiche di benessere generiche e ad abbracciare invece l'idea di fornire un supporto attivo nel design della vita di ogni individuo, agendo sugli spazi, sul mindset e sulla leadership.

Solitudine e solitudine professionale

La sensazione di solitudine è un'esperienza universale e condivisa, che non fa distinzioni di genere, generazioni o posizioni professionali. Questo è il primo dato emerso dall'analisi del campione della survey condotta dall'Osservatorio BIP Content Factory, in cui il 90% delle persone ha confermato di aver provato una sensazione di solitudine almeno una volta nella propria vita. È importante quindi approfondire le ramificazioni di questo diffuso e ancora poco esplorato sentimento.

Secondo la percezione del campione analizzato, uno dei principali fattori che contribuiscono alla diffusione del sentimento di solitudine professionale e non è la tecnologia. Tuttavia, non tutta la solitudine è per forza negativa. Nonostante il termine stesso possa evocare una connotazione negativa, i partecipanti hanno sottolineato come l'esperienza di solitudine possa essere, a volte, una scelta consapevole e addirittura positiva.

L'aspetto positivo viene riscontrato nell'opportunità di riflettere sull'ambiente circostante (37%) e sull'introspezione (33%), confermando che la solitudine professionale e non è un momento e un sentimento scelto consapevolmente. Inoltre, il 22% del campione considera la solitudine come una nicchia rigenerativa.

La solitudine ha fatto ingresso anche nel contesto delle organizzazioni. Il sentimento di solitudine è evidente secondo quanto affermato dal 77% del campione e si manifesta in tutte le fasi della carriera di una persona, sebbene tenda a diradarsi con l'aumentare dell'anzianità. Nelle prime fasi della carriera si riscontra un'incidenza significativamente più elevata di solitudine professionale rispetto alle fasi finali del percorso professionale.

Quali sono i fattori scatenanti di questo sentimento? Oltre all'impatto della tecnologia e dei nuovi modi di lavorare, un ruolo cruciale è svolto dalla cultura aziendale (25%) e dai rapporti sia con il proprio team (30%) che con il proprio superiore (22%), che si sviluppano in un ambiente lavorativo. La percezione del lavoro da casa (40%) viene invece indicata come la principale causa del senso di solitudine professionale, mentre il lavoro ibrido (5%) sembra essere la modalità che suscita meno questo sentimento.

Questi fattori indicano, a una prima analisi, gli elementi su cui è necessario intervenire. Oltre ai fattori che scatenano la percezione di solitudine professionale, è importante anche valutare il livello di percezione e soddisfazione dei dipendenti rispetto alle azioni intraprese dall'organizzazione. Dalla survey è emerso un livello medio di soddisfazione, ad eccezione della fascia più senior (50-64 anni), che ha trascorso più tempo all'interno dell'organizzazione e considera insufficienti le iniziative volte al benessere.

La solitudine è un'esperienza personale complessa. Si definisce come una sensazione soggettiva e spiacevole di mancanza o perdita di compagnia, che si verifica quando c'è una discrepanza tra le relazioni sociali che abbiamo e quelle che desideriamo. La solitudine viene sperimentata in modi diversi da persone diverse in contesti diversi.

Secondo la survey condotta dall'Osservatorio BIP Content Factory sulla Solitudine Professionale, molti di noi hanno provato la solitudine in qualche momento della vita, ma per la maggior parte è stata un'esperienza a breve termine. Tuttavia, una significativa minoranza di persone si trova spesso o sempre sole. In Italia, ad esempio, il 4% della popolazione vive da solo, un dato che potrebbe aumentare al 6% entro il 2045, corrispondente a 3,6 milioni di persone.

La solitudine cronica non fa bene alla nostra salute

La solitudine cronica può avere un impatto negativo sulla nostra salute e influenzare il nostro modo di pensare, sentire e vivere le relazioni. Quando qualcuno sperimenta la solitudine per un lungo periodo, può sentirsi intrappolato in una spirale discendente difficile da uscire. Sebbene la solitudine non sia un problema nuovo, la pandemia l'ha evidenziata ancora di più.

Durante le restrizioni causate dalla pandemia, molti di noi hanno sperimentato la solitudine. Questo fenomeno è aumentato in modo preoccupante, soprattutto tra gruppi già a rischio come i giovani, le persone a basso reddito e coloro che vivono da soli. Spesso l'attenzione si è concentrata su gruppi specifici come gli anziani e più recentemente i giovani. Ma quanto è stata presa in considerazione la solitudine delle persone che lavorano?

La solitudine è causata dalla mancanza di dialogo con gli altri, una mancanza che ha a che fare con la comunicazione intesa come "mettere in comune con". La solitudine trova la sua origine nel confronto con la relazione, che può far sentire una persona sola, anche se non è una condizione necessaria. La solitudine deriva dall'incapacità di comunicare ciò che riteniamo importante e rilevante o dal dare valore a pensieri che gli altri possono trovare incomprensibili. È il sentirsi incomprese e non accettate che genera il senso di solitudine.

Come sono connessi solitudine professionale e lavoro?

La natura umana si basa sulle relazioni per il benessere individuale. Siamo legati alla famiglia, agli amici, ai colleghi e alla comunità in generale. Esiste una connessione tra la solitudine e il lavoro. Essere attivamente impegnati nel lavoro può proteggerci dal sentimento di solitudine. Le persone occupate sono meno propense a sentirsi sole rispetto a coloro che sono disoccupati o inattivi dal punto di vista lavorativo. Tuttavia, la mancanza delle relazioni desiderate nel contesto professionale può influire sul nostro benessere in generale. Allo stesso modo, se sperimentiamo solitudine nelle nostre relazioni più ampie, ciò può influenzare negativamente il nostro lavoro.

Passiamo una quantità significativa di tempo al lavoro, che non solo ci fornisce un reddito, ma dà forma alle nostre giornate, crea connessioni e opportunità di interazione sociale. Tuttavia, durante la pandemia, molte persone hanno dovuto affrontare cambiamenti radicali nel modo in cui lavorano. Alcuni sono stati costretti a lavorare da casa per la prima volta, mentre altri hanno dovuto evitare il contatto con gli altri tranne che per le interazioni essenziali. Purtroppo, alcune persone hanno perso il lavoro o si sono trovate costrette a iniziare una nuova carriera.

Qual è stato l'impatto delle nuove forme di lavoro post-pandemia sulla connessione tra colleghi? Il lavoro implica la relazione con altre persone e offre opportunità di contatto sociale e di costruzione di connessioni sociali. Tuttavia, queste condizioni non sono sufficienti per evitare la solitudine. Possiamo sentirci soli anche in mezzo alla folla se le relazioni che abbiamo non sono significative per noi.

La solitudine professionale può essere definita come la percezione di una carenza relazionale sul luogo di lavoro. Può svilupparsi in tre modi: portando con sé i sentimenti di solitudine già esistenti non legati al lavoro, a causa delle caratteristiche stesse del lavoro o a causa dell'impatto negativo del lavoro sulla nostra vita, come lo stress, le lunghe ore di lavoro o l'esecuzione di attività che non ci motivano o che non corrispondono alle nostre competenze e interessi.

In sintesi, la solitudine è un'esperienza personale complessa che può avere un impatto significativo sulla nostra salute e benessere. Durante la pandemia, molti di noi hanno sperimentato la solitudine, e le nuove forme di lavoro hanno influenzato le relazioni tra colleghi. È importante affrontare la solitudine professionale, prendendo in considerazione sia le condizioni lavorative che le relazioni sociali sul luogo di lavoro.

Le culture organizzative che promuovono l'individualismo, la competizione e l'orientamento alla performance possono aumentare i livelli di solitudine. Al contrario, un clima sociale positivo e il supporto a relazioni costruttive sul posto di lavoro favoriscono il benessere. Oggi, il "luogo di lavoro" sta diventando sempre più importante come istituzione sociale, sostituendo tradizionali comunità come la chiesa e le associazioni. Le persone sono sempre più consapevoli dell'importanza di trovare soddisfazione nel lavoro attraverso relazioni interpersonali di qualità.

Quali sono gli elementi su cui possiamo intervenire

Organizzazione del lavoro

Negli ultimi dieci anni, grazie anche all'emergenza Covid, il lavoro ibrido ha registrato un aumento significativo. Sebbene offra flessibilità e autonomia nella gestione del tempo, questa nuova forma di organizzazione del lavoro può portare a un sovraccarico di fatica fisica e psicologica, aumentando il senso di solitudine. Trascorrere tutto il tempo lavorativo da soli davanti a uno schermo può far sentire le persone isolate e privare loro dell'aspetto sociale e umano del lavoro condiviso in presenza. Il luogo di lavoro non è solo uno spazio fisico, ma anche una comunità in cui si creano esperienze e si stabiliscono connessioni umane significative.

Autonomia e senso di controllo nel lavoro

La ricerca indica che il senso di controllo sul proprio lavoro è correlato a risultati individuali e organizzativi. Secondo il modello di tensione lavorativa di Robert Karasek, la tensione mentale e l'insoddisfazione sul lavoro dipendono dalle richieste del lavoro e dalla discrezionalità decisionale che le persone hanno nei loro ruoli. Quando il lavoro non corrisponde alle capacità e alle abilità delle persone, è più probabile che si sentano sole. Tuttavia, un carico di lavoro elevato, richieste psicologiche e fisiche, e interferenze nella vita privata non causano necessariamente burnout se le persone sperimentano autonomia, ricevono feedback e supporto sociale dai colleghi e hanno un buon rapporto con i loro manager.

Tipologia di contratto

Le persone con contratti temporanei possono sperimentare maggiore solitudine professionale a causa dell'incertezza che affrontano. Il modello della gig-economy, che rappresenta una forma di lavoro autonomo, può portare a disagi legati alla frammentazione del lavoro, alle condizioni e ai tempi di pagamento. L'instabilità che caratterizza questo tipo di lavoro può generare disagi diversi rispetto al precariato tradizionale, che potrebbe essere legato all'incertezza del rinnovo contrattuale o all'impiego a tempo determinato.

Relazioni sul lavoro

Il semplice contatto con i colleghi non è sufficiente a evitare la solitudine sul lavoro; la qualità di tali relazioni è fondamentale. Gli elementi chiave per instaurare buone relazioni sul lavoro includono un senso di vicinanza, sicurezza, fiducia e sostegno reciproco. D'altro canto, un clima negativo può derivare dalla mancanza di coesione, trasparenza, coerenza nei comportamenti o fiducia tra colleghi, il che può portare a emozioni negative che, se prolungate nel tempo, possono essere dannose.

Leadership

Le nostre esperienze di solitudine sul lavoro sono significativamente influenzate dalla relazione con i nostri manager diretti. Secondo Ryan e Oestreich (1991), i leader che mostrano un comportamento abrasivo o ambiguo, sembrano insensibili agli altri o non sono collaborativi, rafforzano un senso generale di sfiducia. Inoltre, i leader spesso mostrano poca sensibilità e ascolto, o addirittura ignorano i problemi di morale organizzativo e i fattori che possono avere un impatto negativo.

Di conseguenza, le persone responsabili delle decisioni organizzative potrebbero non gestire adeguatamente i problemi interni del team. Tuttavia, identificare o isolare la causa del clima negativo può risultare spesso difficile in organizzazioni in cui sono presenti problemi organizzativi, personali e comportamentali radicati. È evidente che i manager possono influenzare in modo significativo le emozioni di solitudine dei loro team.

Gerarchia organizzativa

I manager non sono immuni dalla solitudine, poiché i loro ruoli possono essere soggetti a maggiori pressioni, il che può alimentare un senso di isolamento. I manager, che siano imprenditori o dirigenti aziendali, sono costantemente sottoposti a richieste e aspettative da parte della gerarchia, dei collaboratori e dei colleghi. Devono prendere decisioni rapide, basate talvolta su informazioni limitate e spesso in situazioni di urgenza. Alla base delle decisioni e delle richieste c'è un senso di responsabilità che accompagna ogni azione, verso l'azienda, i clienti e i collaboratori.

A tutto ciò si aggiunge un carico di lavoro significativo, accompagnato dalla necessità di bilanciare il tempo dedicato alla vita familiare, il che lascia poco spazio per momenti di svago e compensazione. I manager, sia quelli appena nominati che quelli con grande esperienza, possono trovare difficile confrontarsi in modo autentico con i propri superiori.

I giovani temono di essere considerati fuori ruolo, mentre quelli con più esperienza temono di compromettere la propria autorità acquisita nel corso degli anni di lavoro. In entrambi i casi, il timore è duplice: da un lato, di essere esautorati dal proprio ruolo aziendale e, dall'altro, di subire critiche alla propria figura professionale. A volte c'è la paura di perdere quella sorta di infallibilità costruita nel tempo. Si teme il giudizio degli altri e i consigli non richiesti. Altre volte è una questione di competizione interna. Anche in ambienti collaborativi, si teme di diventare vulnerabili. Per questi motivi, i manager possono sentirsi soli o isolati.

Caratteristiche individuali

Le persone portano con sé al lavoro caratteristiche personali che possono essere comportamentali, cognitive, emotive, relazionali o innovative e che influenzano i loro sentimenti nei confronti dell'ambiente lavorativo. Lo stesso ambiente di lavoro può soddisfare i bisogni interpersonali di alcuni collaboratori, mentre altri possono sentirsi soli.

Clicca qui per scaricare l'intero report >> SCARICA IL REPORT

Articolo tratto dal report di BIP GROUP, liberamente riprodotto

Photos by pvproductions and pikisuperstar on freepik

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